giovedì 29 settembre 2011

La pelle che abito

Cosa non può fare l'amore di un pazzo...

La pelle che abito, diciottesimo film del regista spagnolo Almodòvar, sembra un racconto preso a prestito dal miglior Palahniuk invece si scopre tratto da romanzo "Mygale" (trad it.Tarantola, Einaudi) di Thierry Jonquet.

Audace, perverso, geniale, 'freak,' sono state date molte etichette a questa pellicola, ma nessuna riesce a racchiudere la visionaria struttura di un' opera che procede a ritroso per stratificazioni color carne. Il corpo sezionato della bella Vera Cruz si fa metafora estrema della creazione artistica. Lo scienziato, l'artista che s'innamora della sua opera è il tema di un Frankenstein sempre attuale in epoca di manipolazione genetica, e ancor più pericolosa: psicologica come questa. Ebbene Almodovar esplora l'ossessione inserendola in un melodramma dark con le cifre di riconoscimento che l'hanno reso celebre: travestitismo, tradimenti, legami di sangue, sindrome di Stoccolma, erotismo e abuso di potere, ecc... Ottima interpretazione di Banderas nei panni del chirurgo estetico Robert Ledgard, una recitazione che Almòdovar gli ha richiesto espressamente: "statica, silenziosa e violenta"; buona prova anche per l'attrice che impersona la sua musa feticcio, strano corpo oggetto di vendetta e insieme tentata sostituzione. Il medico cerca infatti di modellarla secondo i lineamenti della moglie morta carbonizzata in un incidente d'auto. La trasformazione è strabiliante, soprattutto per l'ignaro spettatore. Nonostante il materiale 'crudo' il film si mantiene ad alti livelli grazie ad una sobrietà di fotografia, suggestiva e citazionista. Una miscela di generi dove non manca l'ironia, anche se il noir rimane predominante, come afferma lo stesso regista:
"La piel que habito, è vero, è probabilmente il film più noir che abbia fatto fino ad oggi [...]. C'è una zona del film in cui il genere dominante è il terrore, ma un terrore autentico, senza artifici, senza sangue né spaventi [...]. E quella zona terrorizzante pesa molto sull'emozione dello spettatore. Ma non è un film cupo. C'è molta luce, non ho voluto fare ricorso a un'estetica espressionista con ombre che tagliano le pareti, eccetera".

Non a caso il film si è meritato al Festival di Cannes il premio per la miglior fotografia; grazie al lavoro di José Luis Alcaine si puà affermare che Almòdovar ha contribuito a far parlare di una rinnovata energia nel cinema europeo.

(le dichiarazioni di Almodovar sono riprese da un'intervista di Angel S. Harguindey pubblicata il 16 Settembre sul Venerdì di Repubblica)

mercoledì 28 settembre 2011

Titoli

Uffa devo trovare un titolo per la mia antologia di racconti surreali pulp al femminile.
Ditemi quello che vi colpisce di più tra questi, e avanzate pure qualche proposta sui generis:

Care carnefici / Care cannibali

La ferocia delle fate

I fiori atroci

Sbranarsi per gioco/ Per gioco ti sbrano

Le ragazze si vogliono divertire

Rosa massacro

Caramellatemi
da morta

Da morta voglio farmi caramellare


giovedì 22 settembre 2011

Carnage


"Io credo nel dio del massacro, il dio che governa indiscusso dalla notte dei tempi"

Prima osservazione: bella la locandina (cosa non da poco) e per fortuna che non è stata azzardata una traduzione italiana del titolo, Carnage è e Carnage rimane; anche perché una versione del tipo 'Carneficina' o 'Massacro' avrebbe probabilmente causato non poco imbarazzo al botteghino, non sia mai che qualcuno possa sospettare di scene splatter, anche se in un certo senso non mancano...
Trasposizione da una piéce teatrale con tutti i pregi e i limiti che ne derivano. Qualcuno ha criticato la recitazione sopra le righe, 'molto sopra le righe' della seconda parte, io invece non l'ho trovata fastidiosa, forse Jodie Foster è il personaggio che a tratti convince meno, ma per il resto gli attori sono fantastici, soprattutto Christoph Waltz. Due coppie borghesi intrappolate in un interno, e soggette a un feroce smascheramento di odio ed egoismo reciproco che passa attraverso i corpi e gli oggetti di scena. Momento topico è quando Kate Winslet vomita sui libri rari di Bacon e Kokoschka, due tipi che di carneficine se ne intendono! I dialoghi surreali, lo spazio claustrofobico, il contesto sociale fanno immediatamente pensare a Bunuel e al suo Angelo Sterminatore, ma se in quest'ultimo troviamo un agnello, Polanski invece ci regala il primo piano di un grazioso criceto, a voi il gioco delle differenze.

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Mi sento così strana in questi giorni... Sarà che patisco l'agonia del postmoderno??
Solo 2 giorni alla fine. Sono bulimica di buchi e simboli. Martedì ho fatto 3 fori all'orecchio destro, da un orefice di fiducia. Ne avevo voglia, ci stavo pensando da un po', mi piacciono e li trovo 'giusti'. Ora vorrei fare un nostril e labret centrale, questa volta però dovrei andare in uno studio. è buffo, non sono mai stata attratta particolarmente dai piercing in questo periodo sono fissata invece, è come se volessi segnare una soglia... Del resto non ho più quindici anni, se prendo una decisione è perché sono informata e convinta. Anche se a quindici anni ero insospettabilmente matura, forse troppo, e faccio adesso quello che gli altri facevano da adolescenti, arrivo sempre dopo io...
Avevo detto che non avrei parlato di me in questo blog, ma avevo anche detto che mi stavo mettendo in un tranello, o se non l'ho detto l'ho sicuro pensato, ebbene come previsto ci sono cascata... E ora eccomi a parlare dello spazio sacro della perfor(m)azione:

"Buco simbolo di tutti i simboli si diceva a proposito dei rituali. Potere e simbolismo del buco: è lo spazio sacro, l'apertura che mette in contatto due mondi altrimenti inaccessibili l'uno all'altro. Ma non solo. Il buco è la rappresentazione della paura del vuoto, dell'incognita del tunnel, il salto nel buio, lo sprofondare nell'ignoto. è cavità, grotta, caverna, abisso che inghiotte. Il vuoto.
Che altro suscita lo stesso terrore e stupefatto timore se non la visione del buco nero?
Apertura orifiziale, luogo d'incontro tra carni e mucose, il buco è accesso a un altro regno di esistenza. è apertura, punto vulnerabile del corpo, zona liminale tra esterno e interno. Attraverso l'orifizio il pericolo può penetrare il corpo, le tossine lo abbandonano [...] Procurare un buco nel corpo, laddove un buco non esisteva, quindi creare un orifizio supplementare, forma un ulteriore punto di destabilizzazione del corpo, luogo dove le energie possono transitare liberamente, luogo dove i confini tra esterno e interno vengono vieppiù confusi.
Creare un buco nella carne significa penetrare il segreto, dare vita a un'istanza di apertura e sbocco vicendevole dell'apparato interno con l'esterno. Significa aprire un canale di trasmissione fluida che scorre su una super highway sfumata e dai contorni indistinti [...]
Il body piercing rappresenta il ritorno al mistero di un corpo che sceglie di provare sensazioni. Significa contaminare il corpo che vive con materia minerale e inorganica, significa fare del corpo materia prima di un'arte che usa la carne per scolpire, così come il tatuaggio usa la pelle per disegnare. Significa aprire nel corpo una nuova ferita perché le vecchie ferite guariscano. Nell'attimo in cui l'ago attraversa la carne si sente che si viene scagliati oltre il confine cavalcando l'ago nella sua attraversata da parte a parte.
La nuova ferita cattura la luce, concentra il sentire, emana purezza. Il suo regalo è la perpetua memoria di un viaggio compiuto e di un oceano attraversato."

Betty Marenko, Ibridazioni, Corpi in transito e alchimia della nuova carne; Castelvecchi, 1997.

sabato 17 settembre 2011

Indi per cui

V: ‎"..per fare il monte ci vuol la terra, per far la terra ci vuole un fiore: per fare tutto ci vuole un fio-o-re"

C: mettete fiori nei vostri cannoni... non so perchè mi è venuta... comunque se ci metti quelle rose alte un metro e mezzo dal gambo spinosissimo fai male, eccome. ogni pacifismo è in latenza aggressivo, anche quello floreale, indi per cui la terra sarà sempre un'arena di lotte fratricide ed ecologicamente scorrette.

V: anche il collegamento tra "per fare un tavolo" e il pacifismo floreale è curioso... evviva i sillogismi campati per aria e le libere associazioni!! Noi non siamo Aristotele, per fortuna... :-D e, tra l'altro, "indi per cui" è la miglior congiunzione conclusiva di tutti i tempi!!

C: Se dovessi mai fondare un gruppo indie lo chiamerei: Indi per cui :)

martedì 13 settembre 2011

The End of Postmodernis: idee per una performance

Il dialogo sul postmoderno postumo o no continua a imperversare in rete, ne ha reso conto anche
Finzioni Occidentali, Malvino blog, e The Art Of Hunger. E sicuramente un sacco di altri che non conosco altrimenti citerei, e forse la mia cognizione degli eventi sarebbe più completa, ma anche no...

Dopo aver ricordato tutti insieme un giorno di Settembre ben più noto, sto pensando a una degna commemorazione per il 24 del mese stesso: potrei fare un video dove mangio una zuppa di pomodoro e piango (ma si capisce il rimando alla warholiana tomato soup? Mi sa che non va bene perché per quanto ci riguarda quelle famigerate lattine potrebbero essere state vuote o piene di cacca, l'unica cosa certa è l'involucro feticcio packaging).
Un video dove abbraccio la ruota di una bicicletta e piango? No, anche qui non va bene perché la ruota dev'essere staccata dalla bici, e non sono abbastanza pratica da smontare le ruote da una bici, anche se presumo che non sia troppo difficile - più facile di trovare la giusta pratica celebrativa al post-moderno di sicuro -.
Oppure potrei strappare le pagine della condizione post-moderna di Lyotard e farne degli aeroplanini, o delle bamboline di carta, o regalarle ai passati e chiedergli di leggerne ad alta voce un paragrafo con tono affranto, il problema è che non possiedo il testo in questione e non so se ho voglia di spendere soldi per un libro da comprare per distruggere senza averlo mai decentemente compreso... Per estremo tra le ipotesi vagliate questa mi sembra la più plausibile, magari fatta con un altro libro che non sia di Lyotard, ma altrettanto significativo del post-moderno, ma quale mi chiedo?

Si accettano consigli.

Aggiornamento random: mia madre chiusa in cucina che sta preparando la conserva di pomodoro, davanti a una pentola gigantesca che ribolle di polpa rossa mi sembra una fattucchiera post-moderna. Forse è un segno, ma senza lattina come ho detto non si fa nulla.


venerdì 9 settembre 2011

Riviste d'arte che meritano




















In questo periodo ho FaMe di riviste! Dopo che mi sono arrivati per posta due numeri arretrati di BANG ART ne voglio ancora! Peccato che la rivista ha chiuso la produzione :( Tristissimo perché a mio avviso era davvero un materiale prelibato, l'unico nel panorama paludoso delle riviste italiane a proporre articoli, interviste, speciali e quant'altro sulla Lowbrow - Street - Pop - Toys Art. Curata la grafica e fighi gli speciali. Insomma, se avete voglia possibilità vi consiglio di ordinare su internet i restanti numeri prima che facciano definitivamente sold out.
Molto bello in particolare il numero 5 con in copertina un'immagine di Ray Caesar, mentre il
numero 3 con la foto di Alex Prager riporta un interessante speciale sulla femme fatale nei film noir.

Voi invece avete una rivista d'arte a cui siete affezionati e mi potete consigliare?

Di recente ho ordinato anche il numero 7 di DROME dedicato al corpo, con un intervento di Francesca Alfano Miglietti (FAM) esperta teorica post-human. Mi sembra anche questa una rivista da tenere sott'occhio, magari mi prendo anche l'ultimo numero dedicato al Supernatural.

martedì 6 settembre 2011

Era dell'autenticità

Carolìn ha detto:"Be',stiamo a vedere. Magari L'era dell'Autenticità potrà offrirci nuovi spunti di riflessione,nuove visuali artistiche e letterarie,non per questo inferiori alle precedenti.D'altra parte,credo che la nascita di una nuova Era sia parallela e conseguente al fatto che si avvertano esigenze nuove,diverse e che sia necessario esprimerle in modi altrettanto nuovi e diversi.Forse non ho cercato bene,ma quando ho apertol'articolo l'era dell'Autenticità era solo citata,non spiegata...

Illuminami,se puoi."


Forse non si è capita molto la mia posizione, ma io trovo piuttosto ridicola l'affermazione del signor Docx, cioè che la morte del postmoderno fissata il 24 Settembre; naturalmente è una notizia sensazionalistica volta ad attirare l'attenzione sulla mostra citata, certo è che a mio parere offre uno spunto di riflessione interessante riguardo il presente che stiamo vivendo e i suoi punti di frattura o continuità con il più recente passato. Il Postmoderno nasce in seno al modernismo, ne prende alcune caratteristiche e ne contamina altre utilizzando le tecniche messe a disposizione anche dal progresso tecnologico e delle comunicazioni. Sta di fatto che come sottolinea l'autore i modernisti avevano dei programmi, scrivevano manifesti, contestabili, ma comunque decisi a dare una propria visione del mondo in rottura con la tradizione delle accademie. Invece il postmoderno non offre nessuna idea 'forte' e appunto Vattimo e Rovatti parlavano di pensiero debole, e di 'deriva destinale dell'essere' per indicare la sostanziale impossibilità di professare una verità autentica, come quella cristiana o marxista, ora, mi sembra di capire che da diversi fronti arrivino voci diverse. Ma questo già da anni, quindi mi sembra anacronistica l'annuncio di morte del postmoderno, e anche abbastanza inverosimile la dicitura 'Era dell'autenticità'. Un modo semplicistico per chiudere molte delle scomode questioni del postmoderno a fronte di un rinnovato e quanto mai insistente bisogno di certezze che in tempi di crisi si desiderano come non mai. La religione lo sa, in particolare mostra di saperlo molto bene Comunione e Liberazione che ha intitolato il suo recente meeting annuale di Rimini: 'E l'esistenza diventa un'immensa certezza'. Ma quando un inviato domandava ai partecipanti quale fosse la loro 'certezza' la risposta non era quella che si potrebbe aspettare da un membro di una comunità cristiana, ovvero: Gesù - bensì la certezza di essere parte di un gruppo fondato su valori condivisi (sulla qualità si può discuterne...). Cito questo esempio perché mi sembra che le nuove certezze di cui a volte ci facciamo orgoglio di possedere non sono altro che costruzioni simboliche che trovano rimando nel senso di appartenenza, e in questo senso si connette la popolarità di social network e community virtuali, dove i meccanismi d'interazione si fondano spesso sul 'piacere comune'. Un modo per autenticarci è l'essere disposti ad esibire approvazione con un 'mi piace'. D'altro canto è da notare come molte pagine e diciture rielaborate della cultura pop e mediatica siano indubbiamente originali e divertenti. Un riso amaro però, di chi sta al gioco, ma nel frattempo non vede l'ora di liberarsene. Liberarsi del postmoderno con l'era dell'autentico? In ogni caso è certo che le interpretazioni hanno stufato', si ha fame di fatti, di realismo. Il 'New Realism' di cui parla Ferraris e a cui Vattimo ribatte: "Prendiamo atto del fallimento, pratico, delle speranza post-moderniste. Ma certo non nel senso di tornare 'realisti' pensando che la verità accertata (da chi? Mai che un realista se lo domandi) ci salvi, dopo la sbornia ideal-ermeneutica-nichilista."


Insomma la questione è aperta, Warhol dai mille occhi della sua Marylin ci guarda.


domenica 4 settembre 2011

R.I.P Postmoderno

Dovrei studiare, ma la notizia della morte del postmoderno mi angoscia troppo:


Stiamo entrando nell' Era dell'Autenticità?

Dialogo con mia madre:

IO: Lo sai che il 24 Settembre muore il postmoderno?

MADRE: Che cosa?

IO: è una corrente storica culturale iniziata negli anni '70...

MADRE: E dagli anni '70 finisce solo adesso?

IO: Non lo so, lo scrive un tipo sul giornale.

MADRE: Comunque prima o poi le cose finiscono, inizierà qualcos'altro, ma sinceramente non m'interessa, mi sarebbe importato di più se mi avessi detto che è morto il gatto di Tizio.

IO: ...


sabato 3 settembre 2011

Perché un altro blog (contemporaneo)

Forse è bene che torni sulla questione sulle necessità che mi hanno portato ad aprire questo blog:

diciamo subito che sono circa quattro anni che frequento la blogosfera in modo attivo, in questi quattro anni ho tenuto due blog, uno su Splinder e l'altro su Blogger. Il primo dove esercitavo la (ig)nobile arte del DADA e il secondo dove esercitavo il molto meno interessante sfogo personale. In modo diverso sono stati entrambi importanti per me, innanzitutto perché mi hanno messo in contatto con persone con cui ho stretto un bel rapporto di amicizia anche fuori dalla rete, in secondo luogo perché sono stati dei raccoglitori d'idee e sensazioni che hanno seguito in un certo senso la mia crescita come persona. Ma ora sento che per me è finito un periodo di cupo autoreferenzialismo, e a ventitré anni ,forse, è arrivato il momento di guardarsi intorno in modo più costruttivo. Ciò non toglie che le mie passioni sono una strana miscela di post-strutturalismo e kitsch sfrontato. Bene, ne sono cosciente, e in fondo non è poi così male... Ho aggiunto una serie di immagini nella parte destra, con i link di riferimento agli artisti, che testimoniano il mio gusto per la Lowbrow Art e il Pop surrealismo. Mi piacciono queste correnti, le sento molto vitali e connesse sia con i movimenti underground-punk, e ricettive nei confronti di una certa tradizione artistica, fantastica, soprattutto. Magari dedicherò un post più specifico a riguardo...

Che cos'è un "contemporaneo"? Uno che ci piacerebbe ammazzare, senza sapere bene come.

La citazione di Cioran è fulminante, come suo solito, sottilmente malefica. Particolare anche il fatto che nella domanda sostituisca il 'chi' con il 'cosa', il dasein vs. il feticcio. Crisi del soggetto, ,strano Odradek con cui il contemporaneo deve con-frontarsi. Melanconia, sole nero del contemporaneo. Istinto omicida verso il prossimo nostro contemporaneo Altro. Imbarazzo nel non riuscire a compiere quel gesto, perché chi legge è sempre contemporaneo - chi scrive invece può, anzi è, sempre già morto - chi legge è sempre imbarazzato nel trovarsi davanti alla domanda senza risposta dell'Autore. Ma la risposta Cioran ce la dà, ce la dà per assurdo. Come è assurdo l'aspirante suicida che rinuncia al suo gesto per mancanza d'idee, precisamente idee sulla tecnica da impiegare per finirsi. La scrittura si può situare per lo stesso dilemma: voglio scrivere, essere contemporanea, ma senza sapere bene come, cosa scrivere. Scrivo sul mio essere inscritto in questo blog. Scrivo per nome e in grazia di Musidora.


venerdì 2 settembre 2011

Festival della mente

Settembre mese d'innumerevoli iniziative interessanti, oltre che di esami -sigh! - proprio in questi giorni è in corso il Festival della Mente di Sarzana (Sarzana, 2-4 Settembre http://www.festivaldellamente.it/) con 80 eventi tra lezioni, laboratori e spettacoli, dedicati alla creatività. Tra i numerosi partecipanti in particolare sono due le personalità che avrei voluto incontrare: Luce Irigaray e Michela Marzano. La prima - filosofa psicoanalista belga, e figura di spicco nel movimento femminista con il suo saggio 'Speculum' - nel suo intervento (il 4 Settembre alle 19) illustrerà il rapporto tra psicoanalisi e yoga approfondito nel suo ultimo testo: 'Una nuova cultura dell'energia. Al di là di Oriente e Occidente'. Irigaray mette in guardia sul progressivo venir meno del rapporto natura uomo, in cui quest'ultimo si è costruito un mondo parallelo dove abita senza coltivare la sua energia naturale e relazionale. "Per questo ritengo importante creare legami con culture, come quella orientale, che si sono sviluppate in continuità con la natura, anziché in opposizione ad essa", afferma inoltre: "Yoga e psicoanalisi sono complementari. La psicoanalisi si sforza di liberare un'energia anzitutto psichica bloccata da traumi vissuti nell'infanzia. Lo yoga invece interviene sull'energia fisica e ci rende consapevoli dei nostri potenziali energetici grazie a una pratica corporea".

Non conosco le ultime ricerche di questa filosofa, non so quanto possano essere originali o meno, in un certo senso le derive etiche del pensiero relazionale mi annoiano un po', ma ciò non toglie che sia stata una delle grandi del movimento femminista e Speculum è davvero un libro fondativo ricchissimo di concetti e di simboli, una tra tutti lo specchio concavo, lo speculum, appunto:

"Avrete notato, d'altra parte, che la polarizzazione della luce per esplorare le cavità interne si fa, in modo paradigmatico, mediante uno specchio concavo. Bisogna concentrare i raggi troppo deboli dello sguar­do solare, dello sguardo soleggiato, perché sia illuminato il fondo delle caverne. La tecnica scientifica ha dunque ripreso le proprietà di con­densazione dello "specchio ardente" per penetrare il mistero del ses­so della donna, operando una nuova spartizione tra i poteri del me­todo sperimentale e quelli della "natura." Si ripete così la de specula­rizzazione del materno e del femminile? Scientifità dell'oggetto co­struito che tenta di esorcizzare i disastri del desiderio. Lo mortifica analizzandolo da tutti i punti di vista, ma per finire lo lascia intatto. Altrove, che brucia ancora" (cit. p. 141)

Ma la mia curiosità va soprattutto a Michela Marzano, (filosofa italiana classe 1970 residente e insegnante a Parigi) che presenterà il libro autobiografico dove racconta della sua anoressia: "Volevo essere una farfalla" da poco edito da Mondadori. Riporto qui una suo commento uscito su Repubblica il 26 Agosto:

Perché l’ anoressia non è una cosa di cui ci si deve vergognare. L’ anoressia non è né una scelta, né un’ infamia. L’ anoressia è un sintomo. Che porta allo scoperto quello che fa veramente male dentro. La paura, il vuoto, l’ abbandono, la violenza, la collera. È un modo per proteggersi da tutto ciò che sfugge al controllo. Anche se a forza di proteggersi si rischia di morire. E per imparare a vivere si deve avere il coraggio di dare un senso a tutta questa sofferenza. Certo, per uscirne non esistono formule magiche. Come pretendono alcuni. Come forse sarebbe bello che fosse. Ma esiste qualcosa che è più forte delle semplici formule: la forza delle parole. Quelle che permettono di ripercorrere mille e mille volte sempre le stesse cose. Gli stessi attimi. Le stesse incertezze. Gli stessi rimpianti. E poi, come per magia, il pensiero riappare. E ci aiuta a ritrovare il bandolo della matassa. Quell’ istante preciso in cui qualcosa si è interrotto. E che prima ci si illudeva di poter dimenticare per fare “come se” nulla fosse mai accaduto. Barricandosi dietro ad un pensiero razionale capace, certo, di spiegare tutto, ma in realtà incapace di aprire la porta ai perché della vita. E allora ho capito come mai avessi deciso di diventare una filosofa. Perché se c’ è una disciplina che fa dei “perché” il punto di partenza e di arrivo è proprio la filosofia. Non quella astratta né quella perentoria. Ma quella incarnata che si costruisce intorno all’ evento, come direbbe Hannah Arendt. Quell’ evento che appare nel mondo e lo trasforma. E che obbliga, nonostante tutto, a trovare alcune risposte. Io queste risposte le ho trovate. Ed è anche attraverso la mia anoressia che ho imparato a vivere. Senza quella sofferenza, forse, non sarei diventata la persona che sono. Probabilmente non avrei capito che la filosofia è un modo per raccontare la finitezza e la gioia. Gli ossimori e le contraddizioni. Il coraggio immenso che ci vuole per smetterla di soffrire e la fragilità dell'amore che dà senso alla vita. è questo che ho voluto raccontare nel mio libro. Per condividerlo con gli altri. Per mostrare che c'è un modo per uscirne. Una filosofia della resistenza e della speranza."

Una filosofia della resistenza e della speranza... Speranza non mi piace granché come termine, troppo 'Cristiano', mentre resistenza è un obbligo. Un obbligo che se cade sei nel blackout del pensiero, sostituito dal sintomo del sedicente pensiero anoressico che solo chi ha vissuto può intendere. La forza delle parole. Le parole che l'anoressica sotterra nel corpo così altamente e terribilmente alfabetizzato da non poter dire nient'altro che quello per via di un controllo che si fa incontrollabile. Labile come l'evento che non si abita, ma si conteggia, per corteggiarlo meglio, a distanza, lontano lontano dove la vita non può far male. Cazzate, prima te ne accorgi più possibilità hai di uscirne, ché di formule magiche no - non ce ne sono.






giovedì 1 settembre 2011

Nuovo blog

Ufficialmente il primo post di questo blog, mentre quelli scorsi sono presi da un mio blog precedente dove parlavo in generale dei miei casini...
Ho deciso di aprire un nuovo blog essenzialmente per parlare di ciò che m'interessa, letteratura soprattutto, ma non mi piace limitarmi, e non ho vere e proprie intenzioni programmatiche quindi resto aperta a svariate influenze.

Il titolo provvisorio che ho dato è infatti 'In metamorfosi', deriva da un saggio di Rosi Braidotti che ho letto quest'estate e mi ha particolarmente ispirato e quindi lo prendo come testo base per costruirmi questo nido virtuale, altro testo fondamenta con cui ho deciso di iniziare il blog è 'Millepiani' che continua a rimanere un oggetto del desiderio impossibile (o proibito?) per me, sicuramente perché non lo capisco, e ancora di più perché l'ho lasciato nello zaino leopardato fucsia che ho dimenticato in macchina da una mia amica, e questa mia amica non abita vicino, quindi aspetto di vederla per farmi riportare il libro. Tutta la mia vita mi sembra una storia di perdite, smarrimenti, e desideri che ruotano intorno a dei libri. Ai libri in quanto oggetti, strani attrattori, lividi sapienti, ferite sorgive, cancrene aurorali, e qui c'è Bataille che mi fa l'occhiolino...

Come egida c'è una vignetta di Daria e Jane, quest'ultima tiene in mano una copia di Howl di Ginsberg di cui cita l'incipit per poi colorirlo del tipico cinismo che rende famoso il cartone televisivo. Ha ragione? Non ci sono menti brillanti nella mia generazione? La generazione dei nati a cavallo tra anni '80 e '90; anni in cui qualcun'altro faceva finire il Secolo, cosiddetto 'breve', all'ombra del crollo del Muro. La generazione di chi il giorno dell'11 Settembre giocava a nascondino in giardino, la generazione di chi sta studiando o si sta arrangiando per cercare un lavoro che più determinato non si può. La precarietà è prima di tutto culturale. Quando c'è crisi le prime cose che si tagliano sono i servizi, i beni cosiddetti superflui, perché con la cultura non si mangia, si dice, ma a me serve per respirare. I libri sono bombole di ossigeno nella vita quotidiana d'immersione nell'abisso del banale, dell'idiota, del mercato...

Lunga vita ai cervelli migliori, non in fuga - ma in corsa - verso un punto d'arrivo in questa cartografia del disastro che abitiamo con indifferenza, rabbia, o se va bene: indignazione.






Un giorno questo libro ti sarà (in)utile?

31/08/011

Oggi ho letto "Un giorno questo dolore ti sarà utile" di Peter Cameron, Adelphi edizioni. Ne avevo letto delle citazioni che mi erano piaciute così in biblioteca ho deciso di prenderlo. Si legge tutto d'un fiato, in meno di tre ore, non è un capolavoro, la trama non è particolarmente originale: romanzo di formazione sulla falsariga delGiovane Holden, molto simile anche a "Ragazzo da parete" di Chbosky Stephen, (Frassinelli, 2006) che avevo letto sempre da adolescente. Il protagonista del romanzo di Cameron è James, un ragazzo di diciott'anni che vive a New York con la madre e la sorella Gillian. Ha un rapporto problematico con le persone, l'ossessione per la precisione verbale, una confusa identità sessuale e nessuna voglia di andare all'università perché vuole evitare di stare in un posto pieno di coetanei spocchiosi. La sua ambizione è piuttosto comprarsi una casetta nel Kansas dove leggere tutto il tempo Trollope.
Insomma, cose già sentite... Ci sono alcuni passaggi interessanti specie nei dialoghi del ragazzo con la psichiatra o con sua nonna, lo stile è scorrevole, qualcuno dice 'delicato', la chiusura dei paragrafi lascia sempre un velo di amarezza, malinconia, la stessa del ragazzo nel percepire il mondo da cui si sente escluso. Una specie di voce narrante alla Houellebeck, per chi lo conosce grande cantore del cinismo e della disillusione postmoderna - certo è che non raggiunge la stessa potenza nichilista - e nemmeno ne ne ha l'ambizione. Una 'Solitudine dei numeri primi', ma con una prosa di qualità un po' più matura mi viene da definirlo, poi vedete voi, di roba da leggere ce n'è - per fortuna -.

Concludo con una citazione che mi ha colpito:

"A volte le brutte esperienze aiutano, servono a chiarire che cosa dobbiamo fare davvero. Forse ti sembro troppo ottimista, ma io penso che le persone che fanno solo belle esperienze non sono molto interessanti. Possono essere appagate, e magari a modo loro anche felici, ma non sono molto profonde. Ora la tua ti può sembrare una sciagura che ti complica la vita, ma sai...godersi i momenti felici è facile. Non che la felicità sia necessariamente semplice. Io non credo, però, che la tua vità sarà così, e sono convinta che proprio per questo tu sarai una persona migliore. Il difficile è non lasciarsi abbattere dai momenti brutti. Devi considerarli un dono - un dono crudele, ma pur sempre un dono. "

25/08/011

Non permettiamo alle cazzabubbole di rovinarci la vita.

E dopo questa perla di saggezza vado a letto, anzi visto che ci sono già vado sotto, non sotto il letto, bensì: sotto il lenzuolo trapuntato che riveste il mio letto, mentre è curioso che stamane - dopo aver cercato per un'ora in lungo e in largo in camera mia un libro - l'abbia trovato proprio sotto il letto! Il libro in questione è un saggio molto bello che consiglio a tutti gli appassionati di estetica e arte contemporanea: 'Trasgressioni - I colpi proibiti dell'arte' di Anthony Julius, per Bruno Mondadori editore. Come da titolo l'autore si prefigge di ripercorrere la storia dell'arte nei suoi ultimi centocinquant'anni in luce dell'anti-categoria del trasgressivo.

Riporto un estratto:

La trasgressione è un istinto culturale, il desiderio di rivoluzionare quello che la cultura stessa ha prodotto. Emersa alla metà del XIX secolo, divenne una pratica artistica. Inaugura lo sviluppo dei generi; ne mette in discussione il fondamento, stabilisce degli antigeneri. Ma non esiste un genere trasgressivo in sé. È piuttosto una pratica per smontare la teoria, è un’estetica separata e anche - in varia misura - un aspetto di qualunque opera d’arte degna di più di uno sguardo, di qualunque opera d’arte che non sia totalmente conforme alle regole e priva della benché minima audacia. La trasgressione riguarda la necessaria violenza dell’artista nei confronti dei suoi predecessori (ricordiamo il motto di Picasso, «In arte bisogna uccidere il proprio padre»), e riguarda anche l’impegno dell’arte «a una perpetua rivoluzione immorale dell’ordine esistente» (il progetto di Apollinaire). Riguarda gli aspetti più caratteristici della modernità, e anche l’assurdità di rinchiudere l’arte moderna in categorie, anche nella contro categoria del trasgressivo. […] Se si tratta di un’estetica, allora lo è solo perché è un’antiestetica che ipoteticamente si muove in tre direzioni: la violazione delle regole dell’arte, la violazione dei tabù, l’opposizione politica.

Ma l’autore del saggio non intende assolutamente riordinare l’arte moderna in relazione a queste tre visioni, in quanto sono tipologie ideali non corrispondono ad alcuna opera d’arte specifica, anche se numerose opere possono essere capite, almeno in parte, in relazione ad esse. Ed è significativo come per me le opere e gli autori che mi stanno più a cuore siano riconducibili ud una o tutte e tre le classi sopra citate, penso in primo luogo a Manet e in secondo a Duchamp. Entrambi pionieri di quella rivoluzione del gusto che a suo tempo fece disgusto, oggi la déjuner sur l'herbe non shocca più nessuno, la Monna Lisa baffuta ci fa sorridere, eppure ci fornisce un modello, fa parte di una tradizione che in quanto tale è pronta per essere trasgredita a sua volta. L'arte è questo gioco al rilancio, che , per citare Mallarmé: Jamais N'Abolira Le Hasard.

«L’arte non è l’attuazione di un canone di bellezza, ma quello che l’istinto e l’intelligenza riescono a concepire al di là di esso» Picasso


Ancora libri

12/08/011

Oggi ho comprato altri libri su ibs, in questo periodo sono compulsiva aiuto! Però devo dire che sono soddisfattissima della scelta di ogni singolo volume, tra cui 'Il secolo' e 'Il corpo dell'artista' che avevo già avuto modo di leggere-consultare, ma ho deciso di prendere perchè li ritengo dei libri che forniscono ottimi strumenti di pensiero su concetti che mi trovo spesso ad affrontare: la storia come succedersi d'idee legate all'arte, al corpo, alla produzione artistica ecc... Mentre il libro su Deleuze l'ho preso più per diletto, primo perchè in questo periodo sto approfondendo il suo pensiero, secondo perchè edito dalla Shake casa editrice da me molto apprezzata, terzo perchè era in sconto al 50%. Soldi spesi bene insomma! :)



Gilles Deleuze popfilosofo, Massimiliano Guareschi, Shake.

Gilles Deleuze è forse l'ultimo classico della filosofia del Novecento. La sua opera tuttavia non interessa solo i filosofi. Alcuni dei concetti deleuziani più fortunati, come differenza, divenire, desiderio, molteplicità e nomadismo, circolano da qualche decennio nei più diversi ambiti, dall'arte all'underground, dal pensiero femminile ai movimenti. A fronte di tale crescente interesse, il volume di Massimiliano Guareschi si propone di fornire un'introduzione, una via di accesso al pensiero deleuziano, esplicitamente pensata per i non specialisti di cose filosofiche, per coloro che pur avvertendo il fascino di una delle più anticipatorie avventure concettuali del nostro tempo non sono riusciti, per varie ragioni, ad affrontare direttamente i testi dell'autore francese.

Il corpo dell'artista, a cura di Tracey Warr, Phaidon.

Un'analisi sull'uso crescente del corpo dell'artista come soggetto e materia di opere d'arte. Uno studio sulla nscita di nuove forme d'espressione come la body art, l'happening, la performance e altri tipi di arte dal vivo. Il volume raccoglie più di 250 immagini che delineano la storia in grande parte sconosciuta di queste opere d'arte talvolta davvero controverse. Introduzione di Amelia Jones.


Il secolo, Alain Badiou, Feltrinelli.

Il libro, pubblicato in Francia nel 2005, nasce da un ciclo di conferenze tenute da Alain Badiou nel triennio 1998-2001 su invito del Collège international de philosophie e dedicate al ventesimo secolo. Come impostare la riflessione su un secolo che, di volta in volta, viene definito il secolo totalitario, il secolo sovietico, il secolo liberale? Il problema, concettualmente, non è scegliere un tipo di unità obiettiva o storica (l'epopea comunista, o il male radicale, o la democrazia trionfante...), il punto non è ciò che è successo nel secolo, bensì ciò che vi si è pensato.Che cosa viene pensato, dunque, dagli uomini di questo secolo che non sia soltanto la prosecuzione di un pensiero anteriore?

Millepiani (05/08/011)



Il mio oggetto del desiderio, questo libro, o forse dovrei chiamarlo momumento del pensiero decostruzionista, antagonista, anarco-filosofico dell'era postmoderna:


Ho a casa altri libri di Deleuze che ancora non ho letto nel modo dovuto, ma mi sembrano meno appetibili rispetto a Millepiani; non so descrivere il fascino che mi esercita, il magnetismo che mi ha spinto a prendere ieri in Feltrinelli - dopo una mattinata passata comunque sui libri in biblioteca e università - questo oggetto da più di 600 pagine così pregno di significato nelle mie mani, le mie mani attaccate alle mie braccia unite al mio corpo - dolorante per il peso di uno zaino viola contenente troppi beni essenziali (tra cui la rivista di Fikafutura by Shake edizioni). Seduta sulla sedia di cartone della Feltrinelli mi sono messa a leggere il piano del Corpo Senza Organi, e ho capito, ho capito finalmente la tirannia dell'organismo-stato concettualizzato da Artaud, di cui purtroppo è rimasto schiacciato nella demenza di un pensiero troppo radicale. Non è mia intenzione in questa sede parlare di capitalismo e schizofrenia solo elaborare impressioni, sperimentare il pensiero che dal mio corpo avanza.
Non l'ho comprato, non avevo abbastanza $ c'era anche quello zainetto a fiori da Accessorize che sarebbe stato il degno contenitore di tutti quei piani impaginati dopo oltre trent'anni dalla prima edizione: 1980 - 2011. Ho le vertigini. Leggere e metabolizzare concetti così densi mi spossa e mi esalta più di un coito.