venerdì 2 settembre 2011

Festival della mente

Settembre mese d'innumerevoli iniziative interessanti, oltre che di esami -sigh! - proprio in questi giorni è in corso il Festival della Mente di Sarzana (Sarzana, 2-4 Settembre http://www.festivaldellamente.it/) con 80 eventi tra lezioni, laboratori e spettacoli, dedicati alla creatività. Tra i numerosi partecipanti in particolare sono due le personalità che avrei voluto incontrare: Luce Irigaray e Michela Marzano. La prima - filosofa psicoanalista belga, e figura di spicco nel movimento femminista con il suo saggio 'Speculum' - nel suo intervento (il 4 Settembre alle 19) illustrerà il rapporto tra psicoanalisi e yoga approfondito nel suo ultimo testo: 'Una nuova cultura dell'energia. Al di là di Oriente e Occidente'. Irigaray mette in guardia sul progressivo venir meno del rapporto natura uomo, in cui quest'ultimo si è costruito un mondo parallelo dove abita senza coltivare la sua energia naturale e relazionale. "Per questo ritengo importante creare legami con culture, come quella orientale, che si sono sviluppate in continuità con la natura, anziché in opposizione ad essa", afferma inoltre: "Yoga e psicoanalisi sono complementari. La psicoanalisi si sforza di liberare un'energia anzitutto psichica bloccata da traumi vissuti nell'infanzia. Lo yoga invece interviene sull'energia fisica e ci rende consapevoli dei nostri potenziali energetici grazie a una pratica corporea".

Non conosco le ultime ricerche di questa filosofa, non so quanto possano essere originali o meno, in un certo senso le derive etiche del pensiero relazionale mi annoiano un po', ma ciò non toglie che sia stata una delle grandi del movimento femminista e Speculum è davvero un libro fondativo ricchissimo di concetti e di simboli, una tra tutti lo specchio concavo, lo speculum, appunto:

"Avrete notato, d'altra parte, che la polarizzazione della luce per esplorare le cavità interne si fa, in modo paradigmatico, mediante uno specchio concavo. Bisogna concentrare i raggi troppo deboli dello sguar­do solare, dello sguardo soleggiato, perché sia illuminato il fondo delle caverne. La tecnica scientifica ha dunque ripreso le proprietà di con­densazione dello "specchio ardente" per penetrare il mistero del ses­so della donna, operando una nuova spartizione tra i poteri del me­todo sperimentale e quelli della "natura." Si ripete così la de specula­rizzazione del materno e del femminile? Scientifità dell'oggetto co­struito che tenta di esorcizzare i disastri del desiderio. Lo mortifica analizzandolo da tutti i punti di vista, ma per finire lo lascia intatto. Altrove, che brucia ancora" (cit. p. 141)

Ma la mia curiosità va soprattutto a Michela Marzano, (filosofa italiana classe 1970 residente e insegnante a Parigi) che presenterà il libro autobiografico dove racconta della sua anoressia: "Volevo essere una farfalla" da poco edito da Mondadori. Riporto qui una suo commento uscito su Repubblica il 26 Agosto:

Perché l’ anoressia non è una cosa di cui ci si deve vergognare. L’ anoressia non è né una scelta, né un’ infamia. L’ anoressia è un sintomo. Che porta allo scoperto quello che fa veramente male dentro. La paura, il vuoto, l’ abbandono, la violenza, la collera. È un modo per proteggersi da tutto ciò che sfugge al controllo. Anche se a forza di proteggersi si rischia di morire. E per imparare a vivere si deve avere il coraggio di dare un senso a tutta questa sofferenza. Certo, per uscirne non esistono formule magiche. Come pretendono alcuni. Come forse sarebbe bello che fosse. Ma esiste qualcosa che è più forte delle semplici formule: la forza delle parole. Quelle che permettono di ripercorrere mille e mille volte sempre le stesse cose. Gli stessi attimi. Le stesse incertezze. Gli stessi rimpianti. E poi, come per magia, il pensiero riappare. E ci aiuta a ritrovare il bandolo della matassa. Quell’ istante preciso in cui qualcosa si è interrotto. E che prima ci si illudeva di poter dimenticare per fare “come se” nulla fosse mai accaduto. Barricandosi dietro ad un pensiero razionale capace, certo, di spiegare tutto, ma in realtà incapace di aprire la porta ai perché della vita. E allora ho capito come mai avessi deciso di diventare una filosofa. Perché se c’ è una disciplina che fa dei “perché” il punto di partenza e di arrivo è proprio la filosofia. Non quella astratta né quella perentoria. Ma quella incarnata che si costruisce intorno all’ evento, come direbbe Hannah Arendt. Quell’ evento che appare nel mondo e lo trasforma. E che obbliga, nonostante tutto, a trovare alcune risposte. Io queste risposte le ho trovate. Ed è anche attraverso la mia anoressia che ho imparato a vivere. Senza quella sofferenza, forse, non sarei diventata la persona che sono. Probabilmente non avrei capito che la filosofia è un modo per raccontare la finitezza e la gioia. Gli ossimori e le contraddizioni. Il coraggio immenso che ci vuole per smetterla di soffrire e la fragilità dell'amore che dà senso alla vita. è questo che ho voluto raccontare nel mio libro. Per condividerlo con gli altri. Per mostrare che c'è un modo per uscirne. Una filosofia della resistenza e della speranza."

Una filosofia della resistenza e della speranza... Speranza non mi piace granché come termine, troppo 'Cristiano', mentre resistenza è un obbligo. Un obbligo che se cade sei nel blackout del pensiero, sostituito dal sintomo del sedicente pensiero anoressico che solo chi ha vissuto può intendere. La forza delle parole. Le parole che l'anoressica sotterra nel corpo così altamente e terribilmente alfabetizzato da non poter dire nient'altro che quello per via di un controllo che si fa incontrollabile. Labile come l'evento che non si abita, ma si conteggia, per corteggiarlo meglio, a distanza, lontano lontano dove la vita non può far male. Cazzate, prima te ne accorgi più possibilità hai di uscirne, ché di formule magiche no - non ce ne sono.






1 commento:

*Stay hungry, stay foolish*