venerdì 17 agosto 2018

L'atteggiamento più frequente in chi guarda un disturbo alimentare dall'esterno è gettare la croce addosso ai genitori. O meglio: lanciare frecciatine insulse verso i genitori. Devono aver fatto un lavoro di merda quando tiravano su questa ragazza. Ci credo, con quella madre... Cose così. Un'ampia gamma di osservazioni espresse con un solo tono di voce: la narratrice fuori campo dei documentari sul sottoproletariato inglese. La commessa arrogante che trascina le vocali (soprattutto le "a", ve ne siete accorti?) mentre commenta lo stile di vita dei negri e dei senzatetto.
"La ragaaaaaazza. La maaaaadre".

Bene, io ce li ho avuti, due genitori. Due brave persone. Mai visto ubriaco nessuno dei due, mai visto fumarsi una sigaretta, ho ricevuto abbastanza abbracci da piccola. In famiglia, di problemi, di micce per il mio "staaaato", non ce ne sono mai stati. Avanti, i miei genitori erano dei borghesi adorabili. Detto questo, il mio stato mentale degli ultimi sei mesi, anni, giorni: guardiamolo. Guardiamo la mia malattia, al di là dei sintomi, e guardiamo cosa mi ha lasciato dentro. La paura. L'isolamento. L'ansia. Lo stato costante di rovina, di tragedia imminente, sono qualcosa con cui cresci se hai il mio "disturbo". Conosci i ritmi di un binge, perché li prevedi; impari a decifrare i segni premonitori di un'abbuffata, prima che si manifesti in tuta la sua distruzione; a volte rimetti insieme i pezzi, a volte sei tu che pulisci; altre volte vuoi che gli altri vedano le tracce, capiscano ciò che hai fatto, e ti consolino, ti stringano. Ma sai che sei destinata alla negazione: qualunque cosa tu abbia fatto la notte scorsa, non è successo niente, stai bene; perché sai che non puoi maneggiare la disperazione, l'impotenza, la rabbia, di chi ti vuol bene e ti vede morire pian piano. Ti mento perché ti voglio bene. Mi abbuffo perché non stai mai zitta. Vomito perché mi piace sentirmi vuota. Mi piacciono le vergini suicide. 

Io non ho ereditato questo stato dai miei genitori. Ma da qualcuno l'ho preso.
Da dove è uscita questa fame? Non la voglia, ma il bisogno di tirarsi una coltellata, perché qualcosa dice: tiratela, la coltellata. Andrà meglio se lo fai. 
Fidati.

Però, va detto. Nella mia famiglia sono sempre successe cose strane. Non si diventa anoressiche per caso. Serve un alibi, una giusta causa, un Metodo. è il Metodo a renderci uniche. Una piastrina di riconoscimento. La mia dice "ragazza bianca, colta". è un innesto di metallo sotto la pelle della nuca, dentro la spalla. A tredici anni io sento già lo sbaglio. Che qualcosa dentro di me sta andando storto. Non ne parlo con nessuno.
Non avrei saputo da dove cominciare, davvero. 
A quindici anni, da quando ne avevo sei e ho cominciato ad andare a scuola, non è mai passato un giorno senza qualcuno che mi dicesse o mi facesse sentire brutta.
A diciassette anni, converto la mia bruttezza grazie a un implacabile sforzo di autoplagio verso la poesia. Io leggo Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, Mallarmé, Nietzsche! 
Io sono fatta per essere una musa fin de siécle! 

Ha funzionato, mi sentivo una dandy e come dandy potevo permettermi anzi, pretendere, di non avere nulla in comune con gli altri. 

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