mercoledì 15 agosto 2018

Come faccio a essere ancora viva?


A questo punto, la domanda è d’obbligo: come faccio a essere ancora viva?

Non dovete chiederlo a me, non ha senso. Me lo ripeto ogni giorno, in questo periodo. Mi stringo gli avanbracci tra medio e pollice e dico: non ha senso. Forse sono morta e sono troppo triste per accettarlo: forse gli ultimi sette anni sono la più elaborata allucinazione da quasi-morte di sempre. Se posso scegliere – e io, oggi 15 agosto 2018, decido di scegliere – io preferisco accettare la realtà senza fare troppe domande. Non sono morta perché Dio mi ha protetto. Se non lui, qualcuno. Un sacro fantasma magari. Il problema è che io sono protestante e non ci credo ai santi e ai miracoli. Non sono il tipo di persona che va in chiesa e accende un cero. Non credo al culto mariano, non chiedo a lei di intercedere in nostro favore. Quindi per me oggi è un giorno come un altro, un giorno come un altro in cui scrivere la storia di una ragazza quasi-morta, nel cui soggiorno campeggia un’urna cineraria, e a tutti ripeto: è quello che avrebbe voluto anche lei.  

In piena fase aaaah sono pronta ad affidarmi alla Grazia Divina, e a prendere parecchie cose alla lettera. Una volta sfarfallata via la fase aaaah, mi ritrovo con un set di valori morali che sottoscrivo, impacchettati in una storia di morte e resurrezione. A me piace. Soprattutto: a me basta. Accetto di credere a una storia a cui ero facilitata a credere perché sono cresciuta in mezzo a storie in tre atti; trame lineari che vanno da A a B, personaggi che partono in un modo e nel mezzo del cammino vengono cambiati. Accetto i miti di fondazione per quello che sono: “storie delle origini”; accetto i teti sacri perché la mia vita non ha questa struttura – nessuna struttura, in effetti – e gli “eventi cruciali”, a me, sono sempre successi a caso. Non è stato un atto di sottomissione, quanto arrendermi a un’evidenza: che io ho bisogno di una storia per non desiderare di scomparire. Una storia con un inizio e una fine, che è stata riscritta centinaia di volte da mani diverse. Non le mie. Sono molto sola, chiusa dentro il mio corpo. La vita di un’anoressica è una vita di chiusura. Siamo agli arresti domiciliari in un corpo che non avremmo mai scelto. Possiamo solo aggrapparci a una storia che ci risucchi fuori. E quindi, trovare una storia che non parli di me, non per sfuggire e guardare il nostro corpo dall’alto, sempre più piccolo e scuro, ma solo per poter vedere che tempo fa lì fuori. Che tipo di vita possono avere le altre persone. Che tipo di vita possono avere le-altre-persone? 

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