martedì 14 agosto 2018

I bravi ragazzi

I bravi ragazzi sono sempre appena fuori dalla mia portata. I bravi ragazzi hanno libri, quadri e cd nelle loro case, e le loro stanze sono sempre molto ben illuminate. Grandi finestre, luce bianca. Ci sono altri ragazzi che gravitano intorno a me, perché questo loro fanno: gravitano intorno a quelle come me, è la loro natura satellitare ossessiva.

E quindi. Ragazzi cattivi, ma ben istruiti. Professionisti affermati, o in procinto di diventarlo, che cercano la botta di adrenalina di una ragazza interrotta, questi ragazzi sono Turisti del Disagio, Antropologi del Trauma, e quando mi vedono trascinarmi fuori dal bagno, attaccata allo stipite della porta, la testa che mi ciondola in avanti - , a distanza di giorni mi diranno: "Claudia, quando ti ho conosciuta pensavo che fossi eroinomane", perché è quello che hanno pensato: siringa, buco, braccia, vene, magrezza. La gente guarda me e pensa: eroina. La gente guarda me e pensa: bellezza sprecata. Niente eroina per me, mi spiace. Una volta però tengo fermo l'accendino a una che la sta preparando per fumarla, con una cannuccia di plastica, la fiamma sotto la carta stagnola. Siamo nei bagni di un centro sociale, a Roma, Centocelle. Le chiedo cos'è, lei la chiama "quello che tutti aborrano". E poi, visto che sto zitta, aggiunge: "eroina". Ha detto "aborrono" con quindici "b". Ha la pelle bianca, i capelli lunghi. 

Ma se devo parlare di cose come "ragazzi" o "cattive compagnie", la mia esperienza personale non conta niente. Sul serio: niente. L'idea di amore mi corre sulla lingua come il primo tiro di sigaretta dopo un film di quattro ore. Una fiamma elegante, distesa, un arco. L'ho tenuta lontana finché ho potuto. è il Capodanno del 2014. Ho ventiquattro anni, e sto per le strade di Londra all'alba. Ho preso un taxi illegale, senza l'insegna, dopo le quattro. Il tassista è nero, gentile. Mi chiede se ho un ragazzo a casa. Io non ce l'ho, e dico che ce l'ho. In tre minuti gli descrivo nel mio inglese nocivo una relazione spettacolare, piena di conforto reciproco. Mi ha lasciato davanti alla casa e ha detto: "Take care, Miss Italy". Ha aspettato che aprissi la porta prima di ripartire. 

Adesso non riesco a stare ferma. Sto pensando a una versione di quel ragazzo italiano, a cosa non siamo, a cosa dovrebbe essere. Sbatto gli occhi. Vado a farmi un caffé. 

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