Abbiamo conosciuto l’alfabetizzazione, la stabilità
alimentare, l’allungamento della vita media, gli SSRI, l’alcolismo, la bulimia,
l’acredine dell’adolescenza, l’inter-rail, le autostrade, gli outlet, le carte
di credito, le startup, i trucchi da due soldi di Kiko, la blasfemia, i meme, l’intolleranza
al glutine, gli hamburger gourmet. E poi le seghe, seghissime, sempre. Allora
come adesso. Nessuno può sbregare la maschera al volto delle cose, perché
nessuno vuole sapere che c’è una maschera appiccicata elle cose, che basterebbe
scrostarla per essere diversi, per essere vivi, forse. La cosa certa è che
siamo stati programmati per estinguerci prestissimo e non lo sappiamo. La cosa
certa è che abbiamo cominciato a soccombere al compimento del diciottesimo
anno, ai diciannove eravamo già in metastasi, a vent’anni: sotterrati vivi.
Tenere al guinzaglio la morte è l’unico vero lavoro, il che vuol dire tenere a
bada l’idea che ho anch’io di morire. Il nostro secondo lavoro è cercare di
disintossicarci dai disturbi alimentari: un circolo vizioso di ingrassamenti e
dimagrimenti impercettibili, eppure mostruosi. Questo secondo lavoro ci tiene
parecchio impegnati, e almeno, devo dire, ci distrare dalla morte. Un tanto
siamo impegnati a scegliere la birra artigianale, che ci gratifica parecchio,
un tanto siamo presi dall’idea di comprare i generi alimentari di prima
necessità, tipo tonno e insalata e pasta e latte. D’altro canto il nostro frigo
è sempre semi-vuoto, la nostra fame sempre la stessa violenza impellente, i
nostri occhi hanno le carie dentro, la stessa disperazione priva di doppio
fondo. Sono occhi leggermente arrossati, rigati, strabiliati; occhi accerchiati,
fotografati, allungati, dopati, stanchi, stanchi, sempre più stanchi e
aggiogati dal sistema binario della rete. Va tutto bene, sempre meglio che
affrontare la ferocia dell’Italia schiantata e il nostro frigo semi-vuoto. Voi
la vedete, ma è un vedere malato, voi dite di vedere ma il vostro è il vedere
di un cieco (Giovanni 9.1-4), e io il fango che fa miracoli e toglie i peccati
del mondo non ce l’ho, non ce lo metto. La mia scrittura è uno sputo che niente
impasta se non l’umore di un corpo malato. La mia scrittura è tutta qui: una
serie di tentativi ininterrotti d’affrancamento dal gioco del corpo malato.
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