Tante persone tra amici e conoscenti quando mi rivedono mi
chiedono se sto scrivendo. Io con un po’ di imbarazzo dico di no, oppure sì, ma
poco, per non deludere le aspettative del prossimo che ripone la sua fiducia in
me in quanto persona che scrive, o almeno dovrebbe. Ok amici, lo ammetto: non
scrivo. Però leggo. Leggo molto (relativamente) e osservo, e penso che queste
due siano le cose più importanti, molto più importanti di scrivere per chi ama
scrivere, per chi vuole provarci, o ci ha provato. Leggere e osservare sono
considerate attività passive, quindi inferiori allo scrivere, eppure ne
costituiscono le fondamenta. Se uno scrittore scrive più di quanto legge
secondo me sta commettendo uno sbaglio, o forse si sopravvaluta credendo che
produrre parole proprie sia più importante che leggere e capire cosa hanno da
dire gli altri. Il punto è proprio questo: io io io io. Ma l’io non è così
importante, e anzi non vale niente senza il nutrimento che viene dall’altro.
Scrivere è importante, ma ancora di più lo è leggere e onorare le parole che ci
hanno preceduti. Senza questa specie di devozione uno scrittore non vale
niente, se si misura il valore di una persona come la capacità di mettersi in
relazioni con gli altri, raccoglierne le storie, la solitudine che ogni uomo e
donna custodisce, e farne tesoro; e solo in un secondo momento provare a dargli
voce con la scrittura, che viene dopo, se viene; altrimenti va bene così.
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