venerdì 28 ottobre 2011

Melancholia

Di Von Trier si suole dire che si ama o si odia, per quanto mi riguarda oscillo tra le due posizioni. Se in Dogville, Le Onde del destino e Antichrist l'ho amato, nel suo ultimo Melancholia mi tocca esprimere una certa perplessità.

Dico subito che le parti migliori sono l'inizio e la fine, solo queste sequenze valgono il prezzo del biglietto; splendida la fotografia a rallentatore di Michael Alberto Caro in cui il regista dice di essersi ispirato a Tarkovskj per gli effetti di luce, quest'ultima è molto bella e giocata sui toni freddi del pianeta in contrasto con una tonalità calda e molto satura della prima parte ambientata nella villa borghese. Il film è bipartito e incentrato su due sorelle: Justine (Kirsten Dunst) e Claire (Charlotte Gainsbourg) due donne con due caratteri opposti in cui il regista proietta parte di sé e delle sue ansie apocalittiche. Di Justine condivide la sensazione viscontiana di fine del mondo, la sofferenza preveggente e il distacco dalle convenzioni. In Claire vede il bisogno (registico) di mettere ordine, di trovare un senso, controllare anche l'ineluttabile (Mymovies).


Dopo il magniloquente prologo la storia si apre all'insegna del sarcasmo di una bianca limousine incagliata in una stretta strada di campagna. Il piglio antiborghese si fa sentire nelle scene d'interno in cui si svolge il ricevimento di nozze organizzato da Claire, per l'incantevole e inquieta sorella Justine, quest'ultima nonostante le attenzioni del marito si dimostra sempre più inquieta e in poco tempo riesce a mandare a monte non solo il matrimonio appena celebrato, ma anche la sua carriera da pubblicitaria. Da notare i dettagli della sequenza nello studio dove va a sostituire i libri di storia dell'arte raffiguranti quadri del costruttivismo russo (quindi razionalità e geometria) con altre immagini altamente simboliche tra cui l'Ofelia del preraffaellita Everett Millais, Il giardino delle delizie di Bosch, e il Ritorno dei cacciatori di Bruegel il vecchio. L'amore per l'arte di Trier insomma si fa notare, un'arte apocalittica sia chiaro, in cui la natura esprime la soverchiante forza del caos di cui la donna è figura profetica.


Mentre con un rudimentale e al contempo efficacie strumento si rileva l'avvicinamento del pianeta alla terra strane cose accadono. I ruoli s'invertono: Claire la sorella nella prima parte sicura di sé perde ogni controllo, non crede alla fede scientifica del marito, e si procura un'ingente dose di pillole nell'evenienza di darsi da sé la morte, peccato che qualcuno ci abbia pensato prima lasciandola insieme al figlio e alla sorella ad affrontare la fine. Non sulla terrazza con un buon bicchiere di vino accompagnato dalla nona di Beethoven, inno alla gioia di romantica speranza che come afferma il regista è "una grande stronzata", dunque non c'è speranza, non c'è assoluzione. Non c'è altro modo per finire se non accettando la fine come unica via possibile perchè "La vita sulla terra è cattiva, non c'è motivo di piangere per essa".



Degna colonna sonora che accompagna il messaggio di morte è Wagner, non il Wagner trionfale della Cavalcata delle Valchirie, ma quello struggente del Tristano e Isotta. La ricerca estetica che fa da contraltare alla portata nichilista è notevole. L'uso abbondante della steadycam dà alla testa e introduce nel mondo traballante dei rapporti umani con un esito letteralmente emetico; una mia amica mi ha raccontato di essersi dovuta precipitare in bagno colta da insopportabile nausea. Questo è l'effetto Melancholia, uno dei tanti possibili, tra cui anche qualche sbadiglio nel mezzo.

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