giovedì 13 marzo 2014

La crisi della civiltà


"Nelle fasi primitive della civiltà una gran parte della vita sociale si esprime in forma di giuoco, e cioè in una temporanea limitazione dell’umana condotta secondo norme liberamente riconosciute, in forma conclusiva e conchiusa. Una rappresentazione stilizzata sostituisce di tanto in tanto l’aspirazione all’utile o all’appagamento. Se il giuoco ha carattere sacro, l’attività diventa culto o rito. Anche quando il rito sia cruento o prenda forma di gara, l’azione resta pur sempre un giuoco. Avviene in un punto limitato dello spazio e del tempo: luogo consacrato, barriera di combattimento, piazza della sagra. Entro questi limiti la vita ordinaria è temporaneamente sospesa. La realtà al di fuori del luogo dello spettacolo per il momento è dimenticata, ci si abbandona a un’illusione collettiva, il giudizio libero è messo da parte. Tutti questi segni li ritroviamo per intero anche oggi in ogni giuoco autentico: giuoco di bambini, e gara sportiva, teatro.

Il carattere essenziale, che vale per ogni giuoco – sia esso culto, rappresentazione, gara o sagra – sta in ciò, che a un determinato istante essofinisce. Gli spettatori vanno a casa, gli attori depongono la maschera, la rappresentazione è finita. Ed ecco rivelarsi a questo punto la menzogna del nostro tempo: il giuoco in certi casi non finisce mai, non è dunque un vero giuoco. Ha preso piede. È avvenuta una vasta contaminazione di giuoco e di serietà. Le due sfere si confondono. Negli spettacoli che vogliono passare per seri c’è, nascosto e insidioso, un elemento di giuoco. […]

Tracce di questa contaminazione ne troviamo sempre, per quanto lontano si spinga il nostro sguardo. L’inizio del contrasto giuoco-serietà si perde nelle tenebre della psicologia animale. È però assai dubbio privilegio dell’odierna civiltà occidentale d’avere mescolato a un grado estremo queste due sfere di attività. In infiniti uomini, colti o incolti, l’atteggiamento di giuoco di fronte alla vita, che è proprio del fanciullo, diventa permanente. […]

L’universale indebolimento del giudizio e della critica crea il suolo propizio a questa condizione. La massa si trova a suo perfetto agio in uno stato di semilibera esaltazione, e meraviglia come il formarsi di questo stato d’animo venga provocato e alimentato anche dal prodigioso sviluppo della tecnica.

L’uomo vive letteralmente nel suo mondo di prodigi come un fanciullo, è anzi un fanciullo di una fiaba. Può viaggiare in velivolo, parlare con un altro emisfero, procurarsi delle leccornie mettendo pochi soldi in un automatico, portarsi a casa un pezzo di mondo con la radio. Preme un bottone e la vita gli affluisce incontro. Può tale vita renderlo emancipato? Al contrario. La vita per lui è diventata un giocattolo. C’è da stupire che egli vi si comporti come un bambino?"

JOHAN HUIZINGA, La crisi della civiltà (1937)

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