lunedì 12 agosto 2019

9 agosto 2019

Mi sveglio madida di sudore nel mio letto, in questo limbo che è la mia casa nell’agosto 2019, e indugio ricordando che stavo leggendo un libro per innesti. Addormentarsi leggendo sembra un gesto profondamente umano e nostalgico anche in questa notte spaziale così nera. Poi mi rendo conto di non essere affatto sudata. Il sudore è solo un ricordo del corpo. Bramerei di avere un corpo. Di nuovo ho sognato il sole che tremola al di là delle mie palpebre, la nascita della nostra fine, come un cinema nel cranio. Nel sogno le cose vanno esattamente come andavano nella realtà, ma più in fretta e per lampi retinici. I sogni hanno questo modo di distillare il tempo e sostituire immagini. Non sono un’attrice della mia scena onirica; sono più che altro un’osservatrice o forse, per essere più precisi, una mosca. E c’è un’altra cosa: nel sogno ho i denti marci, ma non proprio marci, piuttosto in disfacimento, come palazzi bombardati dove il microelemento della dimensione orale e il macroelemento della dimensione storica sembravano unirsi nel sogno intrecciati insieme in un’architettura che solo Lovecraft ha vagamente immaginato: accettare le carie senza trasalire, reggere il peso degli eventi, entrare totalmente nel turbine dell’umanità tutta ammettendo che la Storia non riguarda il passato bensì è qualcosa in cui entrare per sfondamento. Vivere le vita significava sapere che potevo morire in qualsiasi momento, come chi andasse gironzolando in piena notte sulle rotaie di una ferrovia fuori controllo. Al risveglio del sogno dissi al mio demone custode: - è come se tutti fossimo stelle nello spazio. Lo spazio cosmico è come un’arcata dentale e noi siamo piccoli denti fatti di stelle in attesa di estrazione dalla Storia, e la Storia è un dentista cieco che è tutto e dappertutto.

giovedì 23 agosto 2018

Nevermore

In estate, di solito prima, verso inizio luglio, come tradizione, puntualmente impazzisco. Prendo forbici e rasoio - in questo caso avevo la macchinetta - e mi taglio brutalmente i capelli da sola, senza nessuna idea e cognizione di causa di quello che sto andando a fare. voglio solo farmi del male e sentirmi un mostro. Ma tanto, i capelli ricrescono, ricrescono, no? Anche le ferite si rimarginano, ma non è la stessa cosa, perché poi restano le cicatrici, e comunque all'inizio sanguinano. Ho bisogno di sangue e vedo la mia vita tutta in bianco, rosso e nero. Questi tre colori mi determinano fisiognomicamente, insieme al verde, che però è troppo cangiante: un giorno è palude, l'altro è bottiglia, l'altro è acqua di mare in tempesta. Il bianco invece è bianco, un foglio A4, una pagina Word, l'albume di un uovo sodo. Gli albumi sono ricchi di proteine e altamente digeribili, te li preparavo gli ultimi giorni, perché avevi bisogno di proteine, e io avevo bisogno di te. Il nero è nero inchiostro, è il nero delle mie pupille dilatate dalla midriasi indotta dall'assunzione prolungata di sertralina. Il termine midriasi deriva dal greco μυδρίασις (pronuncia “mudriasis”) che significa “metallo rovente”, a ricordare la dilatazione tipica di un metallo esposto a temperature elevate. I miei occhi si arroventano nel catturare l'essenza delle cose, che è invisibile agli occhi, ma io non mi accontento e dunque ampio il diaframma e gratto la superficie dorata del gratta-e-perdi che è la mia vita. Un cuore incoronato di spine, ogni giorno vado in giardino e scelgo un nuovo fiore, per te, presto avrò reciso tutte le rose. Ogni giorno provo a flettere le mie articolazioni un po' di più, fino a portarmi le ginocchia tra la testa, e le gambe intrecciate a formare un otto, e le braccia tese al cielo, per salutare il sole che già comincia a scottare. Sono le 10 di mattina e ho fatto 45 minuti di esercizi. Alle 11 mangerò una banana con 6 mandorle e un cucchiano di miele, poi più nulla fino a. Il mio fototipo è all'incrocio tra l'uno e il due. Le efelidi mi costellano, ma i capelli sono piume di corvo che cadono. Stelle filanti di un'estate troppo triste.    

Nevermore...

sabato 18 agosto 2018

Pensierini

Pensierino orribile: a volte penso che sarebbe stato meglio se fosse morto mio padre invece di mia madre. O ancora meglio: che fossi morta io. Solo che poi mia madre sarebbe morta lo stesso perché diceva sempre che non sarebbe potuta sopravvivere senza di me. Ma io come faccio a sopravivere senza di lei? 

Ho anche provato a ricominciare a fare yoga, solo che non mi ricordo le sequenze, né le posizioni, respiro a casaccio e in pratica è solo stretching. Ma va bene anche perché gli occientali che cercano riparo nelle tecniche orientali, insomma... anche no.

Devo imparare cosa significa prendersi cura di sé stessi, forse è quello che intendono dire le persone quando ti dicono che devi essere forte, che non ho mai capito bene cosa volesse dire e mi sembra una frase del cazzo, ma magari non lo è, e mi sbaglio. 

I punti neri sono il male che vediamo solo noi. Per il resto, ci sono cose di cui non si riesce fare a meno, ma pensandoci bene, possiamo farne a meno. Io so di essere capace di fare a meno di tanti comportamenti di compenso inutili, solo che al momento mi servono, però penso che mi serve anche altro, tipo vivere come un essere umano decente, e quindi cerco la decenza e mangio e ingrasso e va bene, va bene, anche se mi fa sentire di merda, va bene, soprattutto se mi fa sentire di merda, vuol dire che sto facendo bene. è quando mi sento relativamente bene che le cose vanno male. Solo che a volte è difficile distinguere le cose che mi fanno oggettivamente stare male, da quelle che auspicabilmente mi porteranno a stare meglio. è un un azzardo: a volte si vince, altre si perde, ma almeno si punta.

venerdì 17 agosto 2018

L'atteggiamento più frequente in chi guarda un disturbo alimentare dall'esterno è gettare la croce addosso ai genitori. O meglio: lanciare frecciatine insulse verso i genitori. Devono aver fatto un lavoro di merda quando tiravano su questa ragazza. Ci credo, con quella madre... Cose così. Un'ampia gamma di osservazioni espresse con un solo tono di voce: la narratrice fuori campo dei documentari sul sottoproletariato inglese. La commessa arrogante che trascina le vocali (soprattutto le "a", ve ne siete accorti?) mentre commenta lo stile di vita dei negri e dei senzatetto.
"La ragaaaaaazza. La maaaaadre".

Bene, io ce li ho avuti, due genitori. Due brave persone. Mai visto ubriaco nessuno dei due, mai visto fumarsi una sigaretta, ho ricevuto abbastanza abbracci da piccola. In famiglia, di problemi, di micce per il mio "staaaato", non ce ne sono mai stati. Avanti, i miei genitori erano dei borghesi adorabili. Detto questo, il mio stato mentale degli ultimi sei mesi, anni, giorni: guardiamolo. Guardiamo la mia malattia, al di là dei sintomi, e guardiamo cosa mi ha lasciato dentro. La paura. L'isolamento. L'ansia. Lo stato costante di rovina, di tragedia imminente, sono qualcosa con cui cresci se hai il mio "disturbo". Conosci i ritmi di un binge, perché li prevedi; impari a decifrare i segni premonitori di un'abbuffata, prima che si manifesti in tuta la sua distruzione; a volte rimetti insieme i pezzi, a volte sei tu che pulisci; altre volte vuoi che gli altri vedano le tracce, capiscano ciò che hai fatto, e ti consolino, ti stringano. Ma sai che sei destinata alla negazione: qualunque cosa tu abbia fatto la notte scorsa, non è successo niente, stai bene; perché sai che non puoi maneggiare la disperazione, l'impotenza, la rabbia, di chi ti vuol bene e ti vede morire pian piano. Ti mento perché ti voglio bene. Mi abbuffo perché non stai mai zitta. Vomito perché mi piace sentirmi vuota. Mi piacciono le vergini suicide. 

Io non ho ereditato questo stato dai miei genitori. Ma da qualcuno l'ho preso.
Da dove è uscita questa fame? Non la voglia, ma il bisogno di tirarsi una coltellata, perché qualcosa dice: tiratela, la coltellata. Andrà meglio se lo fai. 
Fidati.

Però, va detto. Nella mia famiglia sono sempre successe cose strane. Non si diventa anoressiche per caso. Serve un alibi, una giusta causa, un Metodo. è il Metodo a renderci uniche. Una piastrina di riconoscimento. La mia dice "ragazza bianca, colta". è un innesto di metallo sotto la pelle della nuca, dentro la spalla. A tredici anni io sento già lo sbaglio. Che qualcosa dentro di me sta andando storto. Non ne parlo con nessuno.
Non avrei saputo da dove cominciare, davvero. 
A quindici anni, da quando ne avevo sei e ho cominciato ad andare a scuola, non è mai passato un giorno senza qualcuno che mi dicesse o mi facesse sentire brutta.
A diciassette anni, converto la mia bruttezza grazie a un implacabile sforzo di autoplagio verso la poesia. Io leggo Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, Mallarmé, Nietzsche! 
Io sono fatta per essere una musa fin de siécle! 

Ha funzionato, mi sentivo una dandy e come dandy potevo permettermi anzi, pretendere, di non avere nulla in comune con gli altri. 

Sempre resistere alla tentazione

Sempre resistere alla tentazione di "rendere divertente una dipendenza": tre o quattro cose che se state leggendo questo blog è meglio per tutti se le dico adesso, perché mica lo so, io, se dopo avrò modo di dirle chiare così:

Uno: quasi nessuno sa la mia vera età, posso dimostrare 18 anni come 32, di solito scelgo una media tra i due a seconda dell'interlocutore.

Due: soffro di disturbi dell'alimentazione praticamente da sempre.

Tre: mia madre è morta quasi un mese fa

Quattro: sono tornata da Roma quattro mesi fa.

Cinque: quest'estate è un buco nero, e io sto fumando troppo.

Sei: ho un'ansia definitoria incommensurabile.

Sette: vorrei essere Violetta Bellocchio.

Otto: bisogno continuo di essere rassicurata e protetta (da me stessa). 

Nove: voglio sentire le persone parlare di me, sentirmi lusingata e minacciata al contempo.

Dieci: probabilmente (vi) faccio schifo. E anch'io mi faccio abbastanza schifo: ci sono abituata, perché una, a un certo punto, ci si abitua.

Speravo di acquistare spessore, attraverso la degradazione (vedesi punto due). Speravo di uscire sana e forte in un'altra città (vedesi punto quattro). Speravo mi avrebbe dato una profondità (punto sei e sette). Un cuore. Nuovi nervi (punti otto e nove). Non mi avrebbero dato la pace, certe cose, ma pensavo di aver trovato almeno un po' di amore e ho sperato che con A. avrei potuto vivere in una casa con veranda, e avrei potuto fare colazione fuori guardando all'orizzonte il profilo dei Castelli Romani, e la vernice scrostata, i punti in cui si solleva dal legno. Poi, non lo so. Probabilmente lui si è stancato del fatto che non pulissi bene i pavimenti, e avessi bisogno di drogarmi per scoparlo meglio.






mercoledì 15 agosto 2018

Come faccio a essere ancora viva?


A questo punto, la domanda è d’obbligo: come faccio a essere ancora viva?

Non dovete chiederlo a me, non ha senso. Me lo ripeto ogni giorno, in questo periodo. Mi stringo gli avanbracci tra medio e pollice e dico: non ha senso. Forse sono morta e sono troppo triste per accettarlo: forse gli ultimi sette anni sono la più elaborata allucinazione da quasi-morte di sempre. Se posso scegliere – e io, oggi 15 agosto 2018, decido di scegliere – io preferisco accettare la realtà senza fare troppe domande. Non sono morta perché Dio mi ha protetto. Se non lui, qualcuno. Un sacro fantasma magari. Il problema è che io sono protestante e non ci credo ai santi e ai miracoli. Non sono il tipo di persona che va in chiesa e accende un cero. Non credo al culto mariano, non chiedo a lei di intercedere in nostro favore. Quindi per me oggi è un giorno come un altro, un giorno come un altro in cui scrivere la storia di una ragazza quasi-morta, nel cui soggiorno campeggia un’urna cineraria, e a tutti ripeto: è quello che avrebbe voluto anche lei.  

In piena fase aaaah sono pronta ad affidarmi alla Grazia Divina, e a prendere parecchie cose alla lettera. Una volta sfarfallata via la fase aaaah, mi ritrovo con un set di valori morali che sottoscrivo, impacchettati in una storia di morte e resurrezione. A me piace. Soprattutto: a me basta. Accetto di credere a una storia a cui ero facilitata a credere perché sono cresciuta in mezzo a storie in tre atti; trame lineari che vanno da A a B, personaggi che partono in un modo e nel mezzo del cammino vengono cambiati. Accetto i miti di fondazione per quello che sono: “storie delle origini”; accetto i teti sacri perché la mia vita non ha questa struttura – nessuna struttura, in effetti – e gli “eventi cruciali”, a me, sono sempre successi a caso. Non è stato un atto di sottomissione, quanto arrendermi a un’evidenza: che io ho bisogno di una storia per non desiderare di scomparire. Una storia con un inizio e una fine, che è stata riscritta centinaia di volte da mani diverse. Non le mie. Sono molto sola, chiusa dentro il mio corpo. La vita di un’anoressica è una vita di chiusura. Siamo agli arresti domiciliari in un corpo che non avremmo mai scelto. Possiamo solo aggrapparci a una storia che ci risucchi fuori. E quindi, trovare una storia che non parli di me, non per sfuggire e guardare il nostro corpo dall’alto, sempre più piccolo e scuro, ma solo per poter vedere che tempo fa lì fuori. Che tipo di vita possono avere le altre persone. Che tipo di vita possono avere le-altre-persone? 

martedì 14 agosto 2018

I bravi ragazzi

I bravi ragazzi sono sempre appena fuori dalla mia portata. I bravi ragazzi hanno libri, quadri e cd nelle loro case, e le loro stanze sono sempre molto ben illuminate. Grandi finestre, luce bianca. Ci sono altri ragazzi che gravitano intorno a me, perché questo loro fanno: gravitano intorno a quelle come me, è la loro natura satellitare ossessiva.

E quindi. Ragazzi cattivi, ma ben istruiti. Professionisti affermati, o in procinto di diventarlo, che cercano la botta di adrenalina di una ragazza interrotta, questi ragazzi sono Turisti del Disagio, Antropologi del Trauma, e quando mi vedono trascinarmi fuori dal bagno, attaccata allo stipite della porta, la testa che mi ciondola in avanti - , a distanza di giorni mi diranno: "Claudia, quando ti ho conosciuta pensavo che fossi eroinomane", perché è quello che hanno pensato: siringa, buco, braccia, vene, magrezza. La gente guarda me e pensa: eroina. La gente guarda me e pensa: bellezza sprecata. Niente eroina per me, mi spiace. Una volta però tengo fermo l'accendino a una che la sta preparando per fumarla, con una cannuccia di plastica, la fiamma sotto la carta stagnola. Siamo nei bagni di un centro sociale, a Roma, Centocelle. Le chiedo cos'è, lei la chiama "quello che tutti aborrano". E poi, visto che sto zitta, aggiunge: "eroina". Ha detto "aborrono" con quindici "b". Ha la pelle bianca, i capelli lunghi. 

Ma se devo parlare di cose come "ragazzi" o "cattive compagnie", la mia esperienza personale non conta niente. Sul serio: niente. L'idea di amore mi corre sulla lingua come il primo tiro di sigaretta dopo un film di quattro ore. Una fiamma elegante, distesa, un arco. L'ho tenuta lontana finché ho potuto. è il Capodanno del 2014. Ho ventiquattro anni, e sto per le strade di Londra all'alba. Ho preso un taxi illegale, senza l'insegna, dopo le quattro. Il tassista è nero, gentile. Mi chiede se ho un ragazzo a casa. Io non ce l'ho, e dico che ce l'ho. In tre minuti gli descrivo nel mio inglese nocivo una relazione spettacolare, piena di conforto reciproco. Mi ha lasciato davanti alla casa e ha detto: "Take care, Miss Italy". Ha aspettato che aprissi la porta prima di ripartire. 

Adesso non riesco a stare ferma. Sto pensando a una versione di quel ragazzo italiano, a cosa non siamo, a cosa dovrebbe essere. Sbatto gli occhi. Vado a farmi un caffé. 

venerdì 3 agosto 2018


Mio padre è impazzito e vuole trasferirsi alle Canarie. Io gli dico che deve tagliare il prato che il giardino selva una selva nera. Da quando mia mamma è morta nessuno si occupa più del giardino ed è deprimente vedere i fiori appassire, un'ortensia piccola e rosa però resiste, io sono quell'ortensia resistente e ho mandato la foto ad A, Tram, Irene, di me come un fiore. Ieri yoga nel parco, disagio per via del mio corpo esposto e scavato e malsano rispetto alle altre ragazze belle, toniche, abbronzate. Sembro un vampiro denutrito quando vorrei essere un gattino che si accoccola e fa le fusa e si stiracchia e viene tenuto in braccio e nutrito come una cosina preziosa. 
Penso tantissimo, ho uno stormo di colibrì nella testa il cui cuore batte velocissimo e sembra un ronzio indistinto. Scrivere del mio corpo: cicatrici, nei, capezzoli, peli, unghie, ossa. Osare di più con le parole e i desideri. Che cosa desidero? Scrivere. Amare. Essere amata. Una bella casa con un giardino curato e una libreria fornitissima. Piccoli grandi sogni borghesi perché la mia vita assomiglia sempre di più a una commedia di Ionesco. Tornare al teatro come forma espressiva. Tornare all’assurdo, all’esistenzialismo nauseato e grandioso dei pensatori francesi che ammiravo da giovane. Dammi un bacio, guardami, sono la tua Kathy Acker, solo non sono ebrea, almeno credo…

martedì 24 luglio 2018

La festa nera

Il posto da cui sono venuta non esiste più e quello in cui avevo intenzione di andare si è cancellato. Il posto in cui mi trovo adesso, la casa di mio padre, non è altro che un castello di carte che può crollare da un momento all’altro. Io lo so, anche se ho finto di non saperlo, che sarebbe stato incurabile. L’unico modo per sopravvivere è la rimozione integrale, l’unico modo è essere forte, ma esattamente che significa essere forte, io, non lo so. La mia specialità è tutto quanto sta all’incrocio tra lo strano, il triste e l’abietto. Potere dell’orrore. Oggi sono tornata in biblioteca dopo settimane, c’era Carmen che mi ha sorriso mentre mi dava in prestito il libro: Il filo del pensiero. Tessere, scrivere, pensare. L’ho scelto per le mie indagini, io indago l’impossibile nulla che mi divora. Lavoro a maglia con la materia prima del mio spavento. Sono maestra di spavento. Una festa nera 24 ore su 24 ha luogo nel mio cervello. Stamattina ho preso la scopa e ho tolto le ragnatele dagli angoli del soffitto. Avverbi temporali. Domande idiote: come si formano le ragnatele senza i ragni? Come si formano i corpi senza luce? Come si formano le parole senza un mittente? Scrivere è sempre scrivere a e per qualcuno, io sto scrivendo per te, sempre per te, che rimani in ascolto. Ascolta queste parole inchiodate, dimentica le decisioni sbagliate, i gesti non necessari, dimentica gli ultimi trenta minuti o gli ultimi trenta anni, diventa bellissima. Stelle. Tredici sigarette.  Se voglio uscire da qui devo mangiare, un’immagine alla volta, una parola alla volta, un minuto alla volta. Segno della croce e bacio sulle dita, preghiamo, preghiamo, occhi chiusi. Non preghiamo perché qualcuno ci creda – nessuno ci crederebbe mai – preghiamo di saper raccontare ancora una storia. Preghiamo.

sabato 21 luglio 2018

Mamma


Mamma mi diceva sempre che la vera eleganza è nella semplicità, che la vera bellezza è nelle piccole cose di ogni giorno: un sorriso sincero, il profumo di pulito, trovare pronto in tavola, fare una passeggiata al parco, sentire per telefono un’amica, un bel film da guardare insieme, dormire fino a tardi la mattina… Sono queste le cose che amava spontaneamente, perché Luisa è una persona spontanea, senza filtri, molto istintiva e a tratti irritante, e per questo non ci capivamo, perché io sono diversa: io sono complicata e riflessiva, lei era solare e generosa, ma poi quando le persone mi dicono che le assomiglio sono felice, spero e voglio davvero assomigliarle in quelle qualità che aveva e non le ho mai abbastanza riconosciuto perché persa nel mio mondo. La verità è che adesso senza di lei mi sento davvero persa, perché lei era il mio mondo. È la persona che ha dato forma al mondo come l’ho conosciuto e mi ha incoraggiato a esplorare con le mie passioni, la passione delle parole. Ma tutte le parole che ho non basteranno mai per dire quanto immensamente ci ha amato, a me, e a mio papà, Luigi. Il suo era un amore puro, semplice, incondizionato, che non ha mai chiesto niente in cambio, se non la soddisfazione di farci stare bene. È dentro la sua grazia che nasce il mio dolore, così come la mia forza. Mamma rendimi forte, guardami, guardami, guardami. Io sono qui, ti voglio bene, ma tu di più. Sempre di più. Sei insostituibile. Insegnami, ti prego, che la vita è bella e va vissuta, e io ti prometto che la vivrò, anche per te, semplicemente; così: nella durata del ricordo, che è speranza di sentire ancora la tua voce, di ritrovarti in cielo accanto a me, e vederti sorridere di nuovo.